Publist #3: Buon Natale.

giovedì 23 dicembre 2010
E' Natale e a Natale si può dare di più.
Io vi do questo.



Questo per il Natale.
Per il 2011, invece, un augurio sincero.
Che possiate augurare a voi stessi quello di cui avete veramente bisogno, e che possiate augurarlo anche alle persone che lo meritano davvero.
E per quest'anno, basta così.

Ricette sbagliate n°3: mattonella svedese.

martedì 30 novembre 2010
L'avete fatto di nuovo.
Siete andati all'IKEA.
E nella moltitudine immensa di cuscini, coperte fucsia, asciugamani verde mela, appoggiatesta, appoggiacomputer, appoggiagomiti, pelouche a forma di elefante, di farfalla, di orecchio e coniglietto, palle di Natale, palle di pelo, librerie Billa (non bisogna mai lasciarsele scappare), trapani e quant'altro, avete visto la cassa.
L'avete raggiunta.
L'avete superata.
E siete entrati nella mitica bottega svedese.
Il luogo incantato.

Ecco, giunti  questo punto, per favore, cercate di concentrarvi.
Dovete trovare una confezione sui toni del rosso e del bianco, a forma di cartone del latte. Acquistarla.
Uscire. E via, siete pronti per una nuova apocalisse gastronomica.
Il contenuto di quel favoloso brik altro non è che una miscela di farine integrali la cui principale è la segale. Le altre non le so, informatevi da soli perchè io preferisco non sapere.
Tutto quello che dovete fare, a questo punto, è preparare la nostra fantastica ricetta.

RICETTA N°3: Mattonella svedese.
rovesciare il miscuglio in un'ampia ciotola, e mescolare aggiungendo acqua fino a formare un composto grumoso e dal colore poco invitante. Dopodichè, accorgervi con orrore che non possedete né carta da forno, né burro per imburrare la teglia che non avete trovato: eh si, perchè manco quella c'avete in casa.
Quindi prendete quella cosa argentata a forma di cosa argentata che vi capita tra le mani e la cospargete in lungo e in largo degli avanzi di strutto che trovate nel frigo. (Precisazione obbligatoria: il vostro frigo potrà essere vuoto quanto volete, ma mai e poi mai deve mancare un panetto di strutto. MAI. Mia nonna si rivolterebbe nella tomba se ciò accadesse).
Su questa cosa sberluccicante voi versate l'impasto, infornate il tutto e ve ne andate a farvi i fatti vostri per un'ora.
Tornate in cucina pimpanti e assaporate il delizioso profumino che si è sparso ovunque. Eh già. Fare il pane in casa è una goduria. Avvicinatevi circospetti al forno ed estraetene con estrema cautela una mattonella del peso specifico di un bimbo di 3 anni dall'invitante color piccione morto/moribondo.
Poi provate a sbatterla contro il muro.
Ancora.
Ancora.
Ancora.
Visto? Pane indistruttibile. E' buonissimo e morbidissimo, ma per scoprirlo dovrete riuscire a distruggere la crosta marmorea che lo strutto a contatto con la segale gli avrà formato tutto intorno.
Mal che vada potete usarlo come centrotavola.

RISULTATI OTTENUTI FINORA:
Delirium tremens causato dalla sovraesposizione delle narici al profumino di pane appena sfornato, escoriazioni varie, buchi sui muri, lacime amare.
Se riuscite ad addentarlo: pesantezza esistenziale, masticazione perenne, sonnolenza.
Morti sopraggiunte: finora nessuna.
Fin qui, tutto bene.

A QWERTY STORY: La maledizione del J27

martedì 23 novembre 2010
Ah.
Finalmente un bel gioco da copy.
Certo che ci divertiamo veramente con poco.

Vabbè, se volete vedere cosa ho combinato io con 26 lettere e cosa hanno combinato tanti altri loschi figuri, seguite questa traccia.

A QWERTY STORY: La maledizione del J27: "Quel weekend, esoteriche riflessioni terrorizzavano Ylenia: un insolito onomastico pensando alla superstizione dei fantasmi giovani (Hendr..."

Publist#2: the monday morning zombies.

lunedì 22 novembre 2010
G'morning, fellas. Come dite? Ah si. Ho avuto un weekend piuttosto lungo.
Comunque, procediamo.

E' lunedì mattina e il vostro cervello si rifiuta categoricamente di seguirvi.
E' lunedì mattina e riscoprite il piacere di dover ricapitolare, al vostro risveglio, informazioni importanti quali chi siete, dove siete, cosa fate e soprattutto perché lo fate, perché non ve lo ricordate.
Sensazione che credevate dimenticata e invece, oppalà, è di nuovo parte di voi.
E' lunedì mattina e avete la proprietà lessicale di un poppante e il vocabolario di un alieno venuto dallo spazio profondo.
Insomma, è lunedì mattina, non ve lo devo spiegare io.

Quindi?
Non fate fatica.
Procedete con un risveglio neuronale soft.
Lyrics facili e motivetti orecchiabili. Quel tanto che vi basta per carburare fino all'agenzia e rovinare sulla poltrona in attesa che l'italiano che è in voi si risvegli.
Ecco a voi una lista di canzoni adatte al lunedì mattina: orecchiabili e con lyrics totalmente assenti.








e per finire, un Julian Casablancas che il suo weekend non l'ha ancora superato:


Mi aspetto di vedervi tutti allegri, fischiettanti e biascicanti "No, people they don't understand, no spaceships they won't understand, no grandsons they don't understand" sulle vostre strade verso la ripresa di conoscenza.

Publist#1: the sunday morning poets.

lunedì 18 ottobre 2010
La domenica mattina.
Quella bolla di sapone tra la settimana uscente e quella entrante. Quel mal di testa tra la sera prima e la mattina dopo. Quel vuoto pneumatico tra un'idea chiusa e una ancora da aprire.
Quel misto confuso tra smarrimento, allegria, relax, carburante e nausea.
La domenica mattina è il non luogo perfetto per riflettere.
Pentirsi dei propri errori.
E giurare di non farlo mai più.
Fino alla domenica dopo.

I Nokeys sono come la domenica mattina.
Un buco spaziotemporale dove rifugiarsi anche solo per un attimo. Per poi sentire la verità che volevamo nascondere.
Perchè conoscono quell'ingannevole distanza tra una calma apparente e una devastante tempesta interiore.
Perchè conoscono l'incomprensibile magia di saper parlare dritto al cuore degli uomini, anche quando hanno dimenticato di averne uno, o anche quando fanno semplicemente finta di non sentirlo.

Forse è per questo che il nuovo video dei Nokeys esce di domenica mattina. Forse.
Nel video c'è tutto questo.
E non fa male.
Auguro anche a voi di trovarlo.
Tenetelo nascosto, tenetelo per voi.
Fino alla prossima domenica mattina.




E se ci riuscite, già che ci siete, trovate anche l'autrice.
E' nascosta nelle pieghe delle sue domeniche. E anche in qualche frame.

Ricette Sbagliate n°2: se siete malati, fatevi un brodino.

venerdì 8 ottobre 2010
Anche questa settimana mi sono dovuta cimentare in cucina. Più per necessità che per velleità, a dirla tutta, comunque ho messo piede in cucina un'altra volta.
Devo dire però che ultimamente sto migliorando a vista d'occhio: non noto più, da qualche tempo a questa parte, quel clima post bellico che solitamente accompagna i miei pasticci, con allagamenti in zona acquaio e eruzioni vulcaniche in zona fornelli. La qual cosa costituisce un sollievo per le mie coinquiline, e non è un problema per me: so che posso ancora dare molto, in merito a disastri culinari.
Comunque, il giretto all'Esselunga dello scorso weekend mi ha dato l'idea brillante per questa delizia, perfetta per i febbricitanti.

RICETTA N°2: DISASTRI ESPLOSIVI ALL'AROMA DI ZUCCA.
Anche questa è semplicissima. Voi prendete una bella fettona di zucca, disponibile in qualsiasi supermercato, la bollite e la frullate fino a ridurla in purè. A questo punto, morbidosa e arancione com'è, la mettete in un pentolino insieme a un po' di latte o panna, a seconda dei vostri gusti, mescolando ogni tanto per amalgamare bene il tutto. Se non avete lo sbattimento di cucinarvi sta zucca, potete ricorrere a un vecchio trucchetto: la comprate già fatta sotto forma di tetrapack verde ramarro Knorr. Mh Mh. Delicious. Siccome avete tempo per rilassarvi, nel frattempo, visto che siete malati, vi potete preparare anche un delizioso té caldo, mettendo l'acqua a bollire lì di fianco, e sbriciolare una bella aspirina in un bicchierone d'acqua. Naturalmente, visto che siete malati come poco fa, tutto vi cadrà dalle mani, e la bella aspirina andrà a condire la vostra cremina di zucca sparendo nei magmi del pentolino. Poco male: l'amaro dell'acido acetilsalicilico stempera il sapore dolciastro della zucca. Una spolverata di noce moscata e via, siete pronti ad affondare il cucchiaio in quella che si presenta come un'invitante colata di lava incandescente.


RISULTATI OTTENUTI FINORA:
Nasi storti, espressioni di stupore alla vista dell'acrobazia ai fornelli, rapide e mistiche guarigioni sulla via verso il letto.
Morti sopraggiunte: finora nessuna.
Fin qui, tutto bene.

E' giunto il momento.

martedì 5 ottobre 2010
Bene, ci siamo.
Aspetto questo momento da un sacco di tempo.
Finalmente è arrivato; bando alle ciance.

L'automobile la lascio a mio fratello, insieme al mio scooter blu elettrico: è un affare di famiglia. Questioni di discendenza diretta.
Vestiti, gioielli, trucchi, lenzuola, asciugamani, borse, cinture cinturine e cinturoni, foulard e sciarpe, scarpe col tacco, smalti per le unghie, calzettoni colorati e cottonfioc usati alle amiche, più naturalmente laptop, memorie esterne, iPod, cornici digitali, telefonini usati, non usati, fusi e dimenticati, Tom Tom bugiardi e tanto altro ancora: se li spartiscano come meglio credono, secondo i loro gusti ma soprattutto secondo la loro taglia. E finalmente potranno dire di aver camminato nelle mie scarpe.
Il mio apparato snowboardistico al Capitano. In mia imperitura memoria.
La mia collezione di cd al re dei tre mondi. Così si diverte a metterli tutti in ordine di genere, di autore e come gli pare. Insieme al mio passaporto. Che lui li colleziona.
I poster con gli Smashing Pumpkins, Fight Club, la tipa che beve il caffè e Edward Hopper alla ritrovata cugina rock'n roll.
La bicicletta Itterizia alla mia coinquilina. Per tutta la pazienza dimostrata fino ad oggi. E per avermi lanciato le aspirine dal ciglio della porta in più occasioni.
Il mangiadischi Penny, sopravvissuto a anni di distruzione di masse, al mio art zingaro. Il vintage gli piace tanto. Forse riuscirebbe, con la sua pazienza certosina, anche a farlo funzionare di nuovo.
La mia prima macchina da scrivere, conservata con cura fino ad oggi, al mio guru copywriteristico. Se non altro perchè starebbe bene a casa sua. Un bel cimelio, là.
Le valigie (vuote) al mio ex fidanzato: ciò che una volta si allontanò, tornerà. Perchè il paradosso colpisce sempre.
I miei videogiochi d'antan (tipo il Nintendo Game Boy con Super Mario in bianco e nero o il Sega Game Gear) li lascio in ufficio. Secondo me a qualcuno piaceranno.
I libri regalateli: qualcuno saprà cosa farsene. Magari qualcuno li leggerà anche.
I miei vinili suonateli finché non si formano dei buchi nei solchi. Disperdete tutti quei suoni insieme a me.

I miei diari invece seppelliteli con me. Chi c'era a raccogliere i miei pensieri c'era, chi non c'era peggio per lui.

E ho capito che è solo una banale influenza, però la scena lasciatela fare anche a me, ogni tanto.

Nevruz, una case study.

giovedì 30 settembre 2010
Stasera vorrei parlare di qualcosa di interessante.
Purtroppo, però, parlerò di X-Factor.
Anzi no!
Peggio!
Parlerò di Nevruz.
Dopotutto X-Factor è uno di quegli argomenti psuedointeressanti di cui, però, già troppa gente ha già parlato.
L'ennesima edizione è talmente poco interessante che posso parlarne senza troppi sensi di colpa.
Premettendo che non seguo pedissequamente X-Factor, non posso, a, prescindere dalla sua importanza mediatica, b, ricordare a tutti quanto famosa è ormai diventata la mia imitazione di Mara Maionchi nell'atto di pronunciare la mia parolina magica preferita: NO. (Special thanks to Sissa for the art direction). Bene, Nevruz, dicevamo. Nevruz è un caso mediatico piuttosto comune. L'esagerazione, il trasformismo, la borderlineness. Uno stile proposto e riproposto a fasi alterne nell'industria dell'entertainment. Cosa c'è di nuovo, quindi? Di nuovo c'è che, a rigor di logica, dopo averci (industria della moda e industria della musica sono i soggetti della frase) propinato prima il punk style (2007) , poi l'hard rock style (2008), per proseguire con l'indie rock style (2009) e concludere con un imprecisato 90's style (2010), a qualcuno è sembrato appropriato ripropinare anche un po' di glam rock style.
What's new? Oggettivamente, niente.
Tanto più che programmi come X-Factor non si vincono certo grazie unicamente a particolari abilità canore, ma servono altresì spiccate personalità e stili riconoscibili, se non addirittura aspirazionali e imitabili.
La domanda è: Nevruz ci è o ci fa?
La risposta è, come sempre, chissenefrega. Stiamo parlando di X- Factor. Spettacolo. O avanspettacolo, come sempre più spesso appare. Lo star stystem non vuole persone: vuole personalità e personaggi. La persona che propongono, che gli spettatori vogliono vedere pur non sapendolo è, generalmente, un personaggio: qualora il suddetto Nevruz se ne fosse costruito uno, non avrebbe fatto una scelta oggettivamente sbagliata.
Se invece ci troviamo davanti a una vera e propria persona, allora, tanto meglio: rocker è, rocker vuole essere, e il principio cardine del rocker è esagerare. Se sono qualità spontanee, ci troviamo davanti a un rocker crismatico ancor prima che carismatico, e la sua scelta di campo, nonostante il rock stia tornando una moda superata, lo rende ancora più figo.
Il fatto che se ne parli tanto è indicativo: Nevruz è esttamente quello che in linguaggio pubblicitario definiremmo oggi contagious.
Ma soprattutto, è l'incarnazione della grande verità enunciata da Elio:"il rock non vuole amici".
Perchè quando c'è il rock c'è tutto. Finchè una chitarra suonerà avremo ancora la forza di alzarci la mattina contro il cielo grigio e cantare tornando a casa ogni sera nel buio dell'indifferenza.
Quindi io adesso quasi quasi faccio come Copywater e vado a cancellare un po' dai miei contatti di Facebook. E anche oggi possiamo dire di aver concluso una serata con un bel rullo di rock'n roll.
Anzi, vado a riascoltarmi gli Arcade Fire.
E francamente dovreste farlo anche voi.
Che secondo me non l'avete sentita bene.
Le parole. Non le avete ascoltate bene.
A studiare, che poi interrogo.

Nella vita bisogna puntare su due cose: le cose che si sanno fare bene, e le cose che non si sanno fare affatto.
Io, per esempio, non so cucinare. NIENTE. Sono negata. Per essere bolognese, è abbastanza imbarazzante. Ma che ci devo fare, non ho proprio il talento.
C'è gente che ha rischiato la vita con i miei manicaretti.
C'è gente che, invitata a cena da me, ha telefonato alla mia migliore amica per sapere se era meglio venire già mangiata.
C'è gente che lavora con me e si piega con un finto sorriso a fare da cavia ai miei peggiori esperimenti in cucina, rischiando la vita in pausa pranzo.
C'è gente che comunque è ancora viva quindi secondo me è già un buon risultato. E mentre io continuo imperterrita a destreggiarmi malissimo tra pentole e padelle attentando alla salute di tutti, vi lascio qui le mie peggiori ricette. Nel caso in cui voleste anche voi uccidere qualcuno, prendendolo per la gola.

RICETTA N°1: Pasticcio tailandese.
Questa ricetta è semplicissima. Perfetta se avete poco tempo, molta fame e zero sbattimento.
Bastano una confezione di cous cous, petto di pollo, salsa di soia e un sacchettino di pinoli.
Procedete così: mettete il cous cous a cuocere nella sua acquetta. Nel frattempo tagliate il petto di pollo a dadini, passatelo nella farina e mettetelo a cuocere nella padella dove avrete messo a soffriggere l'olio.
Mentre girate e rigirate il pollo, purtroppo, il cous cous giungerà a cottura ultimata, aumentando esponenzialmente il suo volume: dovrete toglierlo dai fornelli e versarlo in una pirofila riempiendo bene il fondo. Quando tornerete a occuparvi del pollo, vi accorgerete con raccapriccio che sarà mezzo sbruciacchiato da un lato: nessun problema, lo affogate in un'abbondante fontana di salsa di soia, che oltre a insaporire il tutto darà al pollo un colorito uniforme e non sospetto. Unite i pinoli e saltate il tutto con maestria. Versate il pollo pinoloso e ancora fumante sul cous cous già preparato, e su cui avete versato un filo di salsa di soia - che altrimenti avanzava, cosa fai, la butti? - e servite con un sorriso da geisha.

RISULTATI OTTENUTI FINORA:
Espressioni di disgusto - occhi torvi analizzando il contenuto del piatto - strani conati - sorprendenti esplosioni di entusiasmo (questa reazione è quella che tuttora mi preoccupa di più).
Morti sopraggiunte: finora nessuna.
Fin qui, tutto bene.

Fatevi la Pub-list: quando proprio non sapete cosa ascoltare.

giovedì 23 settembre 2010
Di creativi ne esistono di tutti i tipi.
Ci sono quelli silenziosi. Quelli chiaccheroni. Quelli fantasiosi. Quelli simpatici. Quelli antipatici. Quelli colti. Quelli distratti. Quelli semplici e quelli complessi.
Ma non esistono creativi pigri. Quello no. Un creativo pigro è contronatura.
Un creativo deve nutrirsi di stimoli. Sennò sta male. Non ce la fa. E' come un Free Willy nella vasca da bagno. Gli manca l'acqua, o meglio l'aria.
Il creativo è curioso. Deve esserlo. E se non lo è lo deve diventare.
Poi ognuno esprime la sua curiosità come esprime la sua creatività: un po' a cazzo di cane, a volte.
Ma un creativo che non ascolta musica è una cosa impensabile.
Il creativo si infila le sue cuffie e puff, pensa. O forse no, ma le cuffie le tiene lo stesso, quindi sembra che qualcosa pensi.
E qui casca l'asino. O meglio casco io.
Perché c'è musica e musica.
Ci sono playlist e playlist.
E le playlist per i pubblicitari non le ha ancora fatte nessuno.
Quei pubblicitari che devono litigare con gli account, risolvere un brief in 16 minuti, fare 82 modifiche in 72 secondi o semplicemente trovare un'ideona. Quei pubblicitari che a volte si annoiano, a volte ridono, a volte cazzeggiano, a volte sognano, a volte dormono.
Per tutti loro c'è la Pub-list: il suggerimento musicale giusto al momento giusto.
Così vi risparmiate un giretto su Youtube e downloadate a colpo sicuro. Ma soprattutto, vi mettete sui vostri brief senza perdere tanto tempo e tanta fatica in dischi che magari non ne valgono la pena.
Giusto?
Poi, se avete una cultura musicale decente bene.
Se non ce l'avete ve la fate.
Anche se non siete creativi.
Anche se non vi sentite neanche lontanamente creativi.
E quindi, come sempre, avete da guadagnarci qualcosa.

Ora, come post di inaugurazione dei questa seconda rubricona destinata ad avere immenso successo tra  voi giovani rampanti - sto ancora aspettando le vostre chiose alle Mezze Verità, comunque - vi aspettereste di vedere postati gli Arcade Fire con The Wilderness Downtown. E certo. Ha sconvolto tutti, rocknrollas e non. E invece no!

La sigla di apertura è un capolavorone che è sembrato passare inosservato.
L'ultimo lavoro di una band che piace, sempre, da sempre.
Che entra dentro e scuote l'anima "come il vento freddo sulla funicolare di Bergen", come ha detto una volta qualcuno. Dicendo la verità.
Vi presento il nuovo disco dei Royksopp.
Vi presento il ritorno dell'autunno, del cielo grigio e delle giacche pesanti come i giorni  che verranno, come i pensieri che si affolleranno nella testa, come la nebbia che tutto avvolge mentre tutto intorno a noi tace, come l'aria rarefatta allineando risvegli dentro albe meccaniche.
Vi presento "Senior".

Opening Season.

domenica 12 settembre 2010
E allora?
Siete rientrati dalle vostre vacanze, avete sentito la nostalgia dei luoghi che avete visitato, vi siete divertiti, avete raccontato ai vostri amici le vostre avventure, avete caricato 10.000 gallery su Facebook di spiagge, bambini, gelati, montagne, mari, colline, collane, sorrisi, disastri, devasti, il tutto ripreso da 800.000 angolazioni e magari pure un po' sfocate?
Siete tornati alle vostre scrivanie, avete faticosamente ripescato dalla memoria la password del pc, poi quella della posta, poi quella dolorosa del vostro conto in banca, poi quella del telefonino se siete stati così furbi da spegnerlo per almeno due settimane, e siete rientrati silenziosamente nelle vostre routine, nelle vostre vite, nei vostri affari e nei vostri guai?
Vi siete resi conto che tutto per un attimo è sembrato possibile, diverso, facile e lontano, per poi crollare davanti alla misera considerazione che tutto è sempre uguale, tutto procede come sempre, e voi siete cambiati, ma mica poi tanto, e anche voi in fondo siete quelli di prima?
Insomma. Siete tornati?
Bravi.

IO NO.
Cioè sono tornata anche io. Però non è proprio tutto tutto uguale.
Mi sto confrontando con  grandi temi. Alla ricerca delle risposte alle domande fondamentali.
Però quando cerco di scriverle, non riesco mai a concluderle. Non trovo le parole giuste.
Ed ecco la prima novità della stagione.

Dopo essermi a lungo arrovellata su come usare i 140 caratteri di Twitter in modo decente, vi presento le
MEZZE VERITA': grandi verità lasciate a metà.
Perchè ognuno poi crede in quello che gli pare.
Quindi potete dare il finale che più vi piace a ogni grande verità e rivendervela come preferite facendo un figurone coi presenti. Se proprio ci tenete potete anche farmi sapere come le avete chiuse; le trovate sul mio profilo Twitter, e quindi anche qui a fianco, quando mi pare.

Prossimamente su questi schermi parleremo di Facebook, advertising, neve fresca e soprattutto rock'n roll.
Tutto come prima. O niente come prima. Vedremo.

Fine della storia.

giovedì 22 luglio 2010
Avrei voluto scrivervi questa cosa.
Avrei voluto scrivervi che ieri sera, mentre ascoltavo Paolo Nutini e cercavo di darne una definizione che comprendesse similitudini con altre precedenti rockstar mi è venuta in mente quest'idea.
Avrei voluto scrivervi che alla fine abbiamo deciso che Paolo Nutini è un incrocio tra Lou Reed, Ricky Martin e mio nonno Mario, per il suono che fa la sua esse scozzese nel microfono, proprio come quella di mio nonno senza dentiera, ma non importa.
Quello che volevo scrivervi è che il fatto di aver bisogno di paragoni col passato per dare una definizione di qualcosa definisce di pe sé la nostra condizione. Che se i coetanei di Palahniuk erano i figli di mezzo della storia, noi siamo i figli della fine della storia.
Col peso opprimente di un passato glorioso sulle nostre spalle e i giorni scanditi da un futuro a progetto. Cullati dall'idea d poter fare qualcosa di nuovo, qualcosa di bello, qualcosa di indimenticabile, quando tutto questo già è stato fatto, e i nostri anni migliori passano aspettando un domani che non sarà mai come lo avremo voluto. Con la tragica e costante tensione tra una vita in condivisione e i sogni anche. Che qualsiasi cosa tu voglia fare ormai è un mestiere codificato, e qualcuno l'ha già fatto meglio di te.
Avrei voluto dirvi che forse ci meritiamo un destino mediocre, noi che ci prendiamo troppo sul serio criticando aspramente scrittori, musicisti, artisti e metalmeccanici, senza però aver mai il coraggio di provare a fare lo stesso rischiando di fallire allo stesso modo. Perchè altri che si prendono troppo sul serio ci farebbero a pezzi, e questo non potremmo sopportarlo.
Avrei voluto scrivervi che ci meritiamo di essere gli ultimi, e non perchè gli ultimi saranno i primi, ma perchè siamo gli ultimi, piccoli omunculi rimasti di un mondo che non c'è più, antenati del mondo che sarà e che forse non riusciremo a capire in tempo.
Avrei voluto scrivervi tutto questo.
Ma oggi ho avuto una notizia meravigliosa, perciò non ve lo dico.

Salvata in corner da questo maledetto ma soprattutto benedetto lavoro.
Copywriting - Lavinia: 1 - 0. E la storia continua, almeno per ora.

Corso di Subbuteo per signorine.

domenica 18 luglio 2010
La prima cosa da sapere, care signorine, è che il Subbuteo è una cosa da uomini. L'utilità della donna all'inteno del Subbuteo è pericolosamente prossima allo zero. Questo non significa che non sia divertente, tutt'altro.
E zitte, laggiù in fondo: vi ho sentito. Dell'inutilità della donna in generale parleremo un'altra volta.

La seconda cosa da sapere sul Subbuteo è che è come il calcio. Cioè, davvero. Comprende cose come il fuorigioco, il fallo, la marcatura a zona, l'arbitraggio, l'infortunio, i dissensi con l'allenatore, il ritiro anticipato e cose così. Come vi ho già spiegato, giovanotte, queste prime regole del calcio sono state pronunciate da Dio in persona subito dopo aver creato Adamo dal fango:  non sapendo cosa dirgli, ha pensato bene di parlare di calcio. Ma siccome la donna è stata creata dopo, e queste cose questi due uomini se li sono detti in trollesco stretto (la stessa lingua che pare parlino i figli di KTTB, stando alle loro stesse dichiarazioni), non ci è dato di capirle. Prendetene atto.
Anche perchè, dopotutto, chissenefrega! Care ragazze, avete altre cose a cui pensare. Le scarpe, ad esempio, specialmente se nei paraggi si trovano personaggi come Mizio.

La terza cosa da sapere sul Subbuteo è che è come il calcio: è fatto di tantissime cose.Non c'è solo la partita.C'è la tensione. Ci sono gli spettatori. Ci sono le foto. Ci sono le chiacchere a bordo campo.Ci sono i dolci, le bottiglie di birra, i discorsi seri e meno seri, la pizza, le palline rimbalzine, le parole a casaccio ("ignominia", ad esempio, è una parola che potrebbe venire usata a sproposito, o quantomeno priva di contesto. Non fateci caso. Sono uomini calcistici, dopotutto).

La quarta cosa da sapere sul Subbuteo è che ci sono casi inspiegabili. O almeno così pare.
Solo in un torneo di Subbuteo vi potrebbe capitare di vedere un uomo con una maglietta dei Joy Division vincere una Musa con lo stesso riferimento tatuato su una spalla. Roba di predestinazione. Mica pizza e bomboloni.

Ma queste sono cose da Coppa dei Marpioni. Molto più di semplice Subbuteo. E anche molto più di semplici Marpioni.

One Two One.

giovedì 1 luglio 2010
Stendhal N°#.
La prima volta che li ho sentiti non sapevo neanche chi fossero. E ho detto, mah, mica male.
La seconda volta che li ho sentiti erano la colonna sonora di un film. E ho detto, ah, eh, ah però.
La terza volta ho ascoltato bene tutto il loro disco. In loop. Domenica mattina. E ho detto.... non ho detto niente, anche perchè era ora che smettessi di balbettare versi sconclusionati.  Ho guardato un sacco il soffitto però.
E loro sono i The Bizarre Collection. Ecco.






E' grazie a loro, se finalmente so con precisione cos'è un Bouzouki.

Solo una cosa. Anzi due. Anzi tre. Poi taccio per almeno 24 ore.

martedì 29 giugno 2010
La prima cosa è che io faccio la pendolare da almeno 11 anni.

La prima volta avevo 15 anni. Andai da mio papà e gli dissi, papà, me li dai dei soldi che devo prendere un treno? E lui, per fare cosa? E io, papà, mi sono innamorata. Fu così che cominciai l'andirivieni sabatodomenicale alla volta di Firenze, una settimana si e una pure. Esci da scuola all'una, prendi il treno alle due, torni indietro la domenica alle 8. Così per quattro anni. A fare i compiti sull'Eurostar. In cui ho rischiato di morire una volta per incendio della carozza, sono stata molestata una volta, ho ascoltato un sacco di bei dischi col walkman. Tante volte.

La seconda volta avevo 22 anni, e vivevo in quattro città diverse contemporaneamente. A Parma studiavo, a Bologna dormivo, a Roma passavo i weekend e a Mallorca le estati. Sveglia alle 5.20 del mattino, scontro con mamma fantasmagorica in corridoio prima degli esami, colazione a RedBull e brioche appena sfornata alle 7.15 sui ponti di Parma ogni giorno. Così per due anni. A preparare gli esami sull'Intercity. In cui mi sono laureata una volta, sono stata molestata una volta, ho letto un sacco di bei libri. Tante volte.

La terza volta avevo 25 anni, e mi sono trasferita a Milano, e i miei in Austria. E quindi non posso dire niente perchè è stato solo un anno fa, e tuttora cerco di conciliare questo puzzle che ho tra le mani tenendo sempre una valigia a portata di mano. Come si fa quando si sta per partorire, no? Che l'equilibrio pazienza, ma di calzini puliti bisogna sempre averne un paio pronti.

E io avevo pensato a scrivere di questa vita sul treno. Si ci avevo proprio pensato, perchè chi non lo vive non ha idea della miriade di cose che possono succedere ogni volta su un vagone. Le persone che vedi. I discorsi che fai. Quel tempo che perdi, in fondo, si ma per cosa? E io avevo anche scritto un racconto, sui treni, dove un finestrino era indeciso su quale parte guardare, che fuori si il panorama era bello, ma dentro era un'altra cosa. Diciamo pure che era un modo come un altro per non addormentarsi durante le ore di italiano, e quindi per ripicca alla prof del caso io scrivevo e non ascoltavo. Abitudine che peraltro non ho mai perso del tutto.

Solo che il mio racconto l'ho scritto al liceo e fa anche un po' cagare a rileggerlo adesso. Che avevo uno stile un po' borioso, ai tempi.  Però c'è una persona che questo racconto sa scriverlo meglio di me. Tutti i giorni sulla pagina di Facebook. E ve lo racconta tutti i giorni con la sua voce, proprio la sua, su ShooTV. Si chiamano TrainDogs. E un po' Traindogs, capite, mi sento anche io. Se non altro per quella volta che ho rischiato di morire di cui vi parlavo poco fa.

La seconda cosa è che mi sono innamorata dei collage di Sinsi. Quelli che vedete qui, per intenderci. Sinsi ha una mente perversa, ma ha un cuore che funziona benissimo. E lunghi capelli rossi.
Oltre a ciò, Sinsi è anche una bravissima art director. Informazione che in questa sede mi sembra secondaria, ma magari qualcuno lo voleva sapere. Ma soprattutto, Sinsi ha fatto QUESTO collage che tra poco sarà in MIO possesso:

MIO! MIO! E' TUTTO MIO!
Da questa reazione si evince che i collage di Sinsi hanno su di me un effetto ancora più devastante delle caramelle, delle scarpe di Vivienne Westwood e delle spade laser.

E se vi state chiedendo cosa ci sia scritto là nell'angolino a sinistra, ecco che compare la grande verità:
SURVIVAL SECRET: IT GETS WORSE BEFORE BETTER. TRY NOT TO PANIC.
E anche sto mese abbiamo trovato un mantra che pare funzioni. 

La terza cosa che dovevo dire non me la ricordo più. Magari mi viene in mente domani.

Contro ogni logica.

giovedì 27 maggio 2010
Cosa vi devo dire, sono fatta così.
So che il buonsenso e l'opinione comune sono contro di me.
So che questa scelta potrebbe accattivarmi antipatie, o comunque qualche cattiva impressione.
So che sarete tutti contro di me su questo punto, ma io sono fatta così: quando mi piace una cosa non voglio sentire ragioni.


A ME, IL TESTO SU FONDO NERO FA LETTERALMENTE IMPAZZIRE.
Quindi lasciatemelo almeno per il titolo del mio blog.

Questioni di punti di vista.

sabato 22 maggio 2010
Vista da qua, la vita sembra molto semplice.
Tutto sembra ordinato, pulito e logico. In una successione di ore che non si rincorrono freneticamente, ma si limitano a scorrere pacifiche. Il tempo per mangiare un dolce, per guardare le foglie delle piante crescere, per mangiare e non nutrirsi, per pensare e non inciampare, per parlare e non vomitare. Per odiare i piccioni fuori dalla finestra, anche. Che c'è bisogno di tempo anche per quello.
Per sentirsi protetti e al sicuro. Per fasi una doccia e mettere lo smalto alle unghie dei piedi, apoteosi della nullafacenza. Ogni colore è più forte e vivido. Ogni soffio di vento sibila più forte.

Però non è che si può passare tutto il sabato pomeriggio bloccati in casa a guardare fuori dalla finestra perchè appena esci il polline ti travolge e l'allergia ti ammazza, ecco.
Chiariamo una cosa: non è che perchè faccio la copy passo il mio tempo a dare un nome a tutto. Anzi, a fare i naming sono sempre stata un po' scarsina. Dare un nome alle cose è difficilissimo. Ha un che di definitivo, di immutabile. E quindi, che gusto c'è? La pratica del nominare è un processo sacro. Non a caso Dio chiese ad Adamo di dare nome a tutto ciò che lo circondava, per farne il signore e padrone. Non a caso gli innamorati si dano nomignoli stupidi e veramente fastidiosi, per rendere inviolabile il loro rapporto. Non a caso... bè vabbè.
Il punto è che nonostante questo, ammetto pubblicamente di aver riempito di nomi un sacco di cose, come le coperte, i gatti randagi, le automobili, e ultimo da ma non da meno, le mie preziose parti anatomiche. E non sono la sola. So per certo che molte ragazze dialogano con le loro parti intime - come dimostrato da indagini sociologiche di rigorosa importanza scientifica da me effettuate.
E sono quindi molto sicura nell'affermare che nessuna chiama la sua "Pratino".
Questo dimostra senza ombra di dubbio che questo splendido adattamento della precedente campagna Wilkinson è stato scritto da un uomo. Un uomo molto simpatico però, a differenza di quelli un po' confusi che ci vedevano lanciarci col paracadute nei giorni del ciclo.

Una telefonata al servizio clienti.

sabato 27 marzo 2010
Lav: Pronto, salve.
Ser:Salve, desidera?
Lav: Senta, la chiamo per quel cuore che ho mandato in riparazione da voi qualche mese fa. E' pronto?
Ser: Mi faccia controllare.. No, mi sembra di no. Le serve a breve?
Lav: No, guardi, non che io lo usi molto. Era tanto per, si insomma, averlo casomai.
Ser: Guardi signorina, mi segnalano che ci sono stati dei problemi. Il suo è un modello molto vecchio e pare fosse in pessime condizioni: stiamo cercando i ricambi originali ma è molto difficile averli.
Lav: E quanto pensa che ci metterete?
Ser:Difficile a dirsi. Potrebbe essere una cosa lunga. Ma le faremo sapere.
Lav: Non è che posso averne uno in sostituzione magari?
Ser: Vorremmo poterla aiutare ma sfortunatamente non ne abbiamo disponibili in questo momento... ci dispiace.
Lav: Ah. Beh. Allora aspetterò. Grazie.
Ser: Si figuri.

E' primavera; svegliatevi, agenzie!

mercoledì 24 marzo 2010
E' primavera.
Beh, ecco. Qualcuno poteva anche avvertirmi, insomma.
Cioè, questa cosa. Io non capisco.
Perchè devo essere sempre l'ultima a sapere le cose?
Mah.
Del futuro delle agenzie si parla già da un po' però: beccatevi questo.

Un'agenzia della Madonna!

giovedì 11 marzo 2010
Dall'alto dei cieli mi segnalano questa campagna qui. Made in  Poland, con la santa benedizione di Beata Publicis.
Simpatica, divertente, un bellissimo esempio di come si può approcciare il no-profit senza scadere nel sentimentale, nel banale o nell'emozionale.
In più, mi segnalano sempre dall'alto dei cieli, un'ennesima dimostrazione del fatto che ogni creativo dovrebbe prendere dal famoso cassetto tutte le idee che gli vengono dopo le 4 del mattino, birra in mano, e farle uscire. SUBITO!
La festa è finita, andate in pace.
Se invece avete bisogno di un'assoluzione più corposa, andate qui. 

Quando il gatto non c'è, i tosti ballano.

mercoledì 10 marzo 2010
Non si nasce imparati, e questa è una sicurezza.
Ma è anche vero che non tutto si può imparare. A cucinare, con un po' d'impegno (che io evidentemente non ci metto, e me ne vanto) si può imparare. A suonare il pianoforte si può imparare. A parlare l'inglese, il francese, il balenese si può imparare.
A ballare no. Ballerini o si nasce, o si nasce. Non è che col tempo le cose migliorino. Ma c'è una speranza anche per chi, come me, soffre di discinesi patologica (o anarchia corporale dissociata, che dir si voglia: ogni parte del corpo va dove cazzo gli pare senza che le altre se ne curino minimamente): si può comunque fare bella figura imitando i grandi ballerini del passato.
Per quanto mi riguarda, amo stupire gli amici con una Combo ispirata dalle movenze dei più bei video e dei più grandi idoli di tutti i tempi.
Apro con una perfetta imitazione di Axl Rose: gioco di gambe e movimento laterale del bacino, cercando di andare a tempo. Proseguo con un tributo a Ian Curtis, momento topico: busto rigido, movimenti sincopati di spalle e braccia, sguardo perso nel vuoto (quello mi viene  piuttosto naturale). Se ci riesco, cerco di farci entrare anche uno pseudo attacco epilettico. Concludo in bellezza con una corsetta avanti e indietro ripresa dal video dei Daft Punk "Around The World", sentendomi un po' zombie e un po' ballerina, a seconda dei casi.Gran finale a piacere: dimeno la testa senza criterio ma con criniera, sperando di beccare qualcuno dritto in faccia.
Il risultato non è un granché, ma potrete sempre contare sulla clamorosa sbornia dei vostri amici e degli astanti, che nei giorni a seguire continueranno a chiedersi se l'avete fatto veramente o era solo un'allucinazione (se sono buoni amici), oppure vi chiederanno di ripetere la performance a ogni occasione utile (se sono i miei amici).

Il rock è sempre stato la mia religione.

lunedì 22 febbraio 2010
La mia assenza è dovuta all'impegno da me profuso nella settimana dei concerti. Analizziamoli uno per uno a partire di questa mia personalissima considerazione: la rockstar è come la religione. Dogmatica. O la accetti così come essa ti si propone, o non la accetti. O si o no. Fingi di non vederne gli errori e ne osanni le pubbliche gesta oppure niente, sei fuori e per te non c'è salvezza.

1.Martedì. Un grande Vasco al Filaforum di Assago. Non sono mai stata una grande fan, ma stimo Vasco per la sua imperturbabile fattanza. Alla sua età io non salterei di certo i fossi per la lunga come fa lui. Blasfema la sua versione italiota di Creep dei Radiohead, ma non tanto quanto i fan posseduti che la cantano ignari di cosa sia Creep dei Radiohead.
2. Mercoledì. White Lies all'Alcatraz. Faccio l'errore di mettere una canotta senza spalline e mi tocca pogare con una mano sullo sterno nel tentativo di salvare il salvabile. Grande performance, grande voce, quel miscuglio pagano tra Joy Division, Editors e Strokes che fa incontrare in un Purgatorio senza nome le anime più nobili e le più perdute.
3. Giovedì e venerdì mi perdo i Kasabian nelle date di Milano e Bologna. Lyrics, videoclip e storia della band, che ora siede alla destra degli Oasis nell'Olimpo delle Rockstar, sono la metafora perfetta della salvazione mistica. Mi riferisco soprattutto al video di "Where did all the love go?", trasposizione postmoderna dell'eterno dilemma fra essere ctonio ed essere umano: o per dirla con parole povere, fra amore a pagamento e amore utopico.
4. Riesco a perdermi anche i Veils a Ravenna. Voce oltretombale, lamento esistenziale, nuce del  dilemma dell'uomo contemporaneo: soffrire o non soffrire? Specie se riferito ai gatti che miagolano in giardino. Osannazione massima del mio essere: nessuno meglio di lui avrebbe potuto fare altrettanto.

Considerazione finale. Johnatan Carroll, in "Zuppa di vetro", fa incontrare Dio al suo protagonista. E si scopre che Dio è un orso di pelouche di nome George. Ora, George altri non è che il pelouche del protagonista bambino, e Dio ne ha assunto le sembianze poichè sarebbe stato più facile per il suo interlocutore identificarlo con qualcosa in cui credere ciecamente, e a cui abbandonarsi completamente.
Se questa teoria sulla manifestazione di Dio regge - e secondo me ha basi fondatissime - comincio a credere che un giorno Dio mi si paleserà sotto forma di Ian Curtis. Nel qual caso non ho fretta, giuro, non ho fretta.

Get the London mood.

martedì 2 febbraio 2010
Parlare di Londra è come parlare di impressionismo: è difficile dire qualcosa di intelligente, ma soprattutto, qualcosa che non sia già stato detto. Perciò non lo farò. Mi limiterò a elencare alcuni tips che vi aiuteranno, in caso di trasferta, a sentirvi molto ma molto Londinesi inside.
1. The brown sauce. Siete svegli da dieci minuti e vi stanno apostrofando in una lingua incomprensibile. Voi annuite e sorridete, per compiacere i padroni di casa. Quello che non sapete è che avete appena autorizzato l'omicidio delle vostre papille gustative: pochi minuti dopo vi rifileranno una colazione letteralmente ricoperta di questa sostanza bandita da ogni pianeta della galassia. Tranne il Regno Unito. A quel punto sarà troppo tardi e dovrete buttare giù tutto quanto, continuando a sorridere e annuire.
2. The terrace houses. Dopo questo attacco alla vostra incolumità uscite per fumare una sigaretta e magia, siete catapultati in una scena degna di un film. Porticine colorate, bowindow luminosi, una sfilza infinita di cancellini luccicanti fino in fondo alla strada. E un vento freddo come l'indifferenza a sferzarvi le ossa, una per una.
3. The newspapers. Mentre fingete di non capire cosa dicono alla tv, ma solo per non partecipare all'ennesima discussione sul football in generale, provate a leggere il giornale. In prima pagina, un bel titolone dice che una ragazza è molto risentita con i commessi di Tesco perchè non le hanno permesso di fare la sua spesa in pace e l'hanno buttata fuori a pedate. E solo perchè era in pigiama e pantofole. Ah, la classe.
4. Bansky. Vi imbattete in uno dei suoi graffiti stupendi e lo riconoscete in quanto tale. Poi, da veri turisti, comprate una delle sue tele a Camden Town, anzi ne comprate due perchè c'è lo sconto di cinque pounds.
5. Discutere con un vecchio rocker in un negozio di dischi a Camden Town chiedendogli se sia meglio comprare un vinile coi demo originali degli Undertones o un EP inedito dei Buzzcocks, bevendo sidro caldo,  non ha prezzo. Peccato che il vostro interlocutore sia totalmente ubriaco. Da qualche anno ormai.
6. Inciampare nella metropolitana tornando da Covent Garden per cause alcoliche, alzare lo sguardo, vedere due ragazzi vestiti da puffi e uno da Scooby Doo e sapere che c'è chi sta molto, molto peggio di voi.
7. Andarsene all'inglese. Prendere la decisione, non salutare nessuno e tornare a casa, fermandosi a metà strada per prendere un consolatorio cartoccio di fish and chips. Che vi farà rotolare nel letto tutta notte implorando acqua, mentre nel frattempo gli altri, appena tornati a casa, stanno vomitando anche le pupille implorando pietà.
8.Vedere terminare una discussione sul football con una decisione all'unanimità. Che è rapidamente traducibile in: David Beckham è il più figo di tutti tempi.
9. Non portare occhiali da sole anche se i vostri bulbi oculari cominciano ad emanare lo stesso odore del pollo abbrustolito. Niente. Occhiali. Da. Sole.
10. Non fare foto. Neanche una. Neanche col cellulare. Come se fosse stupido tanto quanto fotografare il vostro stesso citofono. Tanto tornerete presto, no?

Keep walking, man.

mercoledì 20 gennaio 2010
Ieri sera ho dedicato almeno 40 minuti della mia conversazione con un amico a parlare di questo video.
Lungo è lungo, per carità. Sei minuti di puro prodotto.
Girato benissimo, recitato benissimo, che come sappiamo aiuta non poco. Tralasciamo la mia passione per gli accenti d'oltremanica, è troppo soggettiva.
Ma non è questo.
Un solo piano sequenza. Un solo discorso, scritto magistralmente.
Una storia, nel pieno rispetto del più puro storytelling.
Non riesco a togliergli gli occhi di dosso.
Non riesco a non parlarne.
E questo significa contagious. Significa conversazione.
Significa bel lavoro, oggettivamente parlando.
Significa stupendo, soggettivamente parlando.

State of the art. And copy.

lunedì 18 gennaio 2010
Non c'è relazione più assurda di quella fra art e copy.
Amici, amanti, parenti, serpenti, fidanzati, nonfidanzati, trombamici, amiche, no. Nessuna delle possibile ipotetiche situazioni di relazione fra essere umano è più complessa di quella fra un art e il suo copy.
L'art e il copy si scelgono.
Si scambiano le menti.
E' un processo doloroso, intimo e confidenziale: aprire il tuo cuore e la tua mente al più illustre sconosciuto è traumatico, la prima volta. Poi cuori e menti si allineano e si cementano, fondendosi in una coppia. Una specie di Giano Bifronte che vive della sua doppia anima.
Si amano, si odiano, litigano. Spesso non si parlano. Ma poi si riprendono sempre.
Sono gelosi l'uno dell'altra. Si appartengono a vicenda. Tradirsi è brutto quasi quanto tradire il proprio partner. Forse di più.
Se per le persone normali vale l'assioma di dover scegliere un lavoro che possano amare, perchè passeranno con lui molto più tempo che col proprio compagno, per l'art e il copy vale la regola di scegliersi un buon alter ego, perchè staranno con lui/lei fino alla fine dei suoi giorni. Forse di più. Forse non passeranno più tempo con lui/lei che col proprio compagno: forse non avranno un compagno. E basta. Si basteranno a vicenda.
E' amore e odio, è difesa e comunione. E' tanto, in alcuni casi è tutto.
Ecco, però non pensavo che fosse così interessante da farci un film sopra.

Non senza lasciare tracce.

domenica 10 gennaio 2010
Non buttarti subito, appena vedi la strada davanti a te.
Aspetta. Fai qualche giro di riscaldamento. Testa la resistenza di gambe, testa, cuore. Prendi le tue misure. Calcola quanto spingere e quanto lasciar correre.
Trova il tuo point of balance. La mediazione perfetta tra volontà di dominio e capacità di piegarsi agli eventi esterni. Piega le ginocchia, e preparati ad ammortizzare i colpi. Non farti trovare impreparato da dossi, cunette, sassi sul cammino. Ma se li trovi, sappi che la cosa peggiore che può accaderti è cadere. Ti rialzerai. Forse non ti farai neanche male, o forse si. Ma ti rialzerai sempre.
Tira fuori il coraggio. Sappi che quando sarai in corsa non potrai tornare indietro, solo avanti. Se troverai un muro davanti a te, buttati. Non hai alternative. Devi superarlo, per arrivare in fondo. Non guardarti indietro, ma impara dalle cadute che hai fatto.
Impara a non voler chiudere ogni curva. Non tutte le cose necessitano una conclusione decisa. Certe cose vanno lasciate aperte, in modo da lasciarti prendere velocità. Comincia a correre. Continua a scivolare, questo dev'essere il tuo obiettivo. Disegna la tua linea e seguila. Potrai sempre ricamarti qualche margine di libertà ai suoi lati.
Prendi il ritmo. Segui il suono del tuo respiro. Raggiungi la perfezione armonica nei tuoi movimenti. Sii equilibrato, non esagerare dove intravvedi il pericolo. Abbi coscienza delle tue capacità e fermati dove non puoi arrivare. Un giorno ci andrai, ma adesso non rischiare.

E quando sei pronto, buttati giù. Lasciala andare. Sarà lei a guidarti, in cambio di un minimo sforzo per tenere l'equilibrio. Non aver paura. Senti il suono della velocità e il vento sulla faccia. Lasciati scivolare.
Sarà come volare.
E quando ti guarderai indietro, ti accorgerai di aver lasciato una traccia profonda dietro di te.

E saprai di aver fatto la cosa giusta.
Sia che fosse una cavalcata nella neve fresca, sia che fosse, semplicemente, vivere.